Uno dei motivi che rende particolarmente difficile contrastare la violenza contro le donne è che le vittime molto spesso non sono consapevoli di subire violenza.
Non solo tante donne non riconoscono come atto violento uno schiaffo o uno strattone o il lancio di un oggetto (anche compiuto non contro di loro ma davanti a loro) ma, a maggior ragione, non riconoscono come violenza insulti, minacce, critiche, dipendenza economica, intromissioni in abitudini quotidiane, controllo ecc. Questi atti hanno normalmente contraddistinto la loro vita e vengono dunque considerati normali. Forse gli stessi atti li hanno anche visti compiere nelle loro famiglie di origine e vi sono abituate. Si spiega anche così la presunta normalità di cui parlano parenti, amici, vicini di casa quando la violenza diventa femminicidio.
Se ci riflettiamo poi non è difficile comprendere come questo pensiero sia propagato da certe assude campagne contro la violenza con immagini di donne livide e sanguinanti. Immagini che non offrono immagini di libertà, di consapevolezza ma permettono una identificazione in negativi. O immagini accompagnate da didascalie di donne che nascondono la violenza pur evidente: "sono caduta dalle scale" o "è stato il tappo dello spumante". Immagini che invitano a sottovalutare, a nascondere, a confondere. E a normalizzare delle situazioni che normali non sono.
Contribuisce anche un certo tipo di cronaca giornalistica in cui si descrive il femminicida come un uomo "deluso per essere trascurato" o i cui sentimenti "si sono raffreddati quando lei a deciso di cercare lavoro e non dedicarsi più completamente alla famiglia". Mentre è facile capire l'assurdità di queste motivazioni per chi è consapevole, queste frasi invece non solo non agiscono per generare consapevolezza in chi vive la violenza in quelle situazioni ma possono anche fare sentire, le vittime, colpevoli.
Lo stesso avviene per i bambini e le bambine che vivono la violenza assistita molto spesso senza essere consapevoli che non è quella la normalità di una famiglia perchè quella è l'unica realtà che conoscono. Bambini e bambine che hanno bisogno di capire che esiste un'altra normalità: qualle delle famiglie in cui si parla, ci si rispetta, magari si litiga anche, ma in modo civile e paritario.
Questo libro è nato per dare consapevolezza ai bambini e alle bambine e per aiutare anche coloro che ne sono già consapevoli a ritrovare un nuovo equilibrio, una nuova serenità.
Ci piacerebbe che questo libro arrivasse anche nelle mani di mamme che subiscono violenza, affinchè comprendano che devono essere in grado di trovare la forza di liberarsi per le loro bambine e bambini. E comprendano anche che "tenere unita la famiglia per il bene di bambine/i" quando in casa c'è violenza non è assolutamente il modo per fare il loro bene.
La parola chiave è sempre consapevolezza, il principio attivo di Disamorex.
Aiutare bambine e bambini ad essere consapevoli è uno degli obiettivi di Possiamo tenerlo con noi?
Alcuni bei racconti per parlare di violenza assistita sono contenuti nella raccolta di racconti contro la violenza, scrtta da Autrici Varie Chiamarlo amore non si può.
La violenza assistita sulle/i minori è una forma di violenza domestica che si realizza nel caso in cui la/il minore è obbligata/o, suo malgrado, ad assistere a ripetute scene di violenza sia fisica che verbale tra i genitori o, comunque, tra soggetti a lei/lui legati affettivamente, che siano adulti o minori.
Il reato di violenza assistita non è previsto nel nostro codice penale se non quale circostanza aggravante del reato di maltrattamenti in famiglia introdotto sulla scia della Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti della donna e la violenza domestica - Instambul 11 maggio 2011 – che all'art. 46 quelle circostanza del reato, quando non ne sia elemento costitutivo, l'aver commesso l'evento delittuoso ai danni di un bambino o in sua presenza.
A seguire, nel nostro ordinamento, il d. l. 14 agosto 2013, n. 93 sulle disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere poi convertito nella legge 15 ottobre 2013 n. 119, ha introdotto il n. 11 quinquies all'art. 61 c.p. il quale afferma che sia circostanza aggravante nei delitti non colposi contro la vita e l'incolumità individuale, contro la libertà personale nonché nel delitto di cui all'art. 572, commesso il fatto in presenza o in danno di un minore di anni 18 ovvero in danno di una persona in stato di gravidanza. Tratto da: http://www.diritto24.ilsole24ore.com/art/dirittoPenale/2015-11-03/il-reato-violenza-assistita--103953.php
L'inserimento di questa norma è stato un passo importante ma sarebbe bene riconoscere la violenza assistita come un reato a sè stante.