Perché un'editrice diventa autrice

Che forza la danza!

Racconto spesso, quando mi viene chiesto come è nata la linea editoriale di Matilda Editrice, dei libri che cercava mia figlia quando era bambina, in libreria, e che spesso non trovava. Non ha mai amato le languide storie di principesse salvate dai principi (e neanche le bambole in effetti), ha sempre preferito i libri di avventura e si è sempre arrabbiata perchè i protagonisti erano maschi e basta. Provavo a farla innamorare di protagoniste che avevo amato io, Pippi prima fra tutte, ma nonostante le piacessero l'offerta era sempre limitata e comunque, un po', come dire, datata.

Ho cominciato dunque a pubblicare storie di bambine (e bambini) non stereotipate, facendo però attenzione a che non fossero troppo "anti stereotipo" perchè la decostruzione dei ruoli funziona se non è forzata, se non è banale, se non è fatta per inseguire la "tendenza" e soprattutto se non vuole sostituire modelli con altri modelli. Quello che mi interessa proporre è il "modello" della normalità, della libertà. E ancora, allenare lo spirito critico, proporre possibilità, ampliare gli orizzonti, far conoscere il bello della differenza, aiutare a rigettare modelli precostituiti magari buttando un occhio critico proprio ai libri di scuola. Sembra facile dire che bisogna seguire i propri desideri, ma spesso i desideri sono manipolati. Quindi si deve educare a riconoscere il proprio desiderio allenando il pensiero critico che è libertà; quindi educare al pensiero critico, educare alla libertà di avere pensieri e desideri liberi.

Negli anni sono nati tanti bei libri che io considero di valore ed importanti ma nel leggere e valutare le tante storie che ricevevo aumentava sempre più il mio bisogno di prendere io la parola, di provare a raccontare partendo da me, dalla mia esperienza di mamma, di editrice, di conduttrice di laboratori di lettura.

Il desiderio poi ha preso forma da una chiacchierata con Lara, giovane mamma, mia cugina. Lara vive a Zurigo dove lavora come ricercatrice di fisica (fa cose molto complicate che non saprei neanche ben spiegare!) ma è anche istruttrice di danza classica. Parlavamo di stereotipi che condizionano bambine e bambini ed nata la riflessione su come la danza, attività considerata scioccamente femminile (salvo poi incantarci tutte/i a vedere ballare Roberto Bolle in tv!) sia influenzata dalle leggi della fisica. Lara mi ha raccontato di come lei insegni la danza spiegando perché la buona riuscita dei movimenti sia condizionata dal capirne la relazione con le leggi della fisica. Mi ha aperto un mondo! Ho cominciato a pensare alla danza in modo diverso e a chiedermi se fosse possibile avvicinare le giovani ballerine alla scienza, visto il bisogno che c'è di indirizzare le bambine e le ragazze verso le materie dell'area Stem. Ero consapevole di come siano importanti i modelli, ma in particolare avevo compreso (parlandone anche nel libro Stereotipi e arzigogoli) come questi modelli funzionino ancora di più quando li si incontra nella vita quotidiana. Come succede ad Anita, la protagonista di questo racconto, quando incontra Lalla, l'insegnante di danza. Modelli che peraltro esistono solo che spesso non vengono nominati (come scopre Anita facendo la tesina per gli esami di terza media) o vengono nominati male: pensiamo a tutte le volte in cui si nomina Fabiola Giannotti chiamandola "direttore" del Cern! Si investe tanto nei progetti Stem per le ragazze e poi si nasconde con il linguaggio che chi dirige il più importante laboratorio al mondo di fisica delle particelle è una "direttrice".

Dunque dalla relazione tra danza e fisica è nato questo libro, Che forza la danza!, in cui però c'è molto altro di me, della mia famiglia, del mio lavoro. C'è la mamma di Anita, in cui ho messo un po' di "Donatella", e ci sono persone importanti della mia vita che, anche quando non nominate, si riconosceranno. Si parla anche di femminismo in questo racconto, e di stereotipi e di società patriarcale ma in un modo che spero possa essere colto dalle/dai giovanissimi e che mi auguro possano trovare anche divertente. 

Forse qualcuno/a potrà trovare eccessivi i riferimenti al gender gap, ai pregiudizi, alle battaglie delle donne, all'importanza di accettare ogni diversità incluse quelle nell'apprendimento, al body shaming, alle donne importanti del passato e spero mi perdoni, sono io che sono eccessiva, probabilmente. Chi mi conosce lo sa. Però vi assicuro che ho cercato di farlo in modo non noioso!

Dicevo che in Che forza la danza! c'è molto anche della mia famiglia, in particolare c'è molto di mia figlia nella figura della protagonista. Ed è per questo che ho chiesto a lei di illustrarlo. E lei mi ha fatto il grande dono di accettare. Non mi sembrava il caso di inserire una dedica "all'illustratrice" ma, insomma, io lo so che è dedicato a lei.

Donatella Caione, 12 gennaio 2019

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